Per anni ho avuto una riga dritta tra i seni e l'ombelico. Orizzontale e all'altezza dello stomaco, o dello sterno, non so.
Una linea precisa, come di matita. Ma era pelle. La mia.
Un tizio mi ha detto, è un blocco, un blocco di emozioni, sei divisa. Io ci ho riflettuto. Me la riguardavo allo specchio, mi chiedevo in quale momento, in quale esatto momento, le mie gambe avessero smesso di essere connesse alla mia testa. O al mio cuore. Ci ho pensato parecchio. La riga stava lì.
Ma adesso non c'è più. Non so dove sia andata. La cerco. Da qualche parte deve essere finita. Forse è diventata una ruga, all'angolo della bocca. O una linea sul collo. Oppure se n'è andata sulla schiena, per quello non la vedo.
Comunque.
Non la trovo.
E allora ogni tanto mi viene un dubbio, non è che quel tizio mi ha detto una sonora cazzata? Una idiozia, una sciocchezza. Non è che la riga era solo una riga e pure carina? Non è che io non avevo un blocco di niente e quello voleva solo definirmi in un modo a caso, perché non capiva una mazza di me?
In effetti la riga è sparita. Punto. E pure il tizio.
In effetti.
Vorrà dire qualcosa.
Sì.
Vuol dire che, se anche c'era una ferita, si è rimarginata. Perché le ferite si rimarginano, quasi sempre.
E se non si rimarginano di certo non hanno bisogno di un tizio qualunque che le faccia sanguinare.
Quindi se lo ritrovo, quel tizio, gli dico di pensare alle righe sue. Che alle mie ci penso io. E ne ho cura.
Che le righe e le ferite vanno curate, non hanno bisogno di uno che ci infili il dito.
Quindi viva le righe, viva le ferite e abbasso i tizi che stanno a guardare la pelle degli altri. Guardino la loro.
#esercizidilibertà
Una linea precisa, come di matita. Ma era pelle. La mia.
Un tizio mi ha detto, è un blocco, un blocco di emozioni, sei divisa. Io ci ho riflettuto. Me la riguardavo allo specchio, mi chiedevo in quale momento, in quale esatto momento, le mie gambe avessero smesso di essere connesse alla mia testa. O al mio cuore. Ci ho pensato parecchio. La riga stava lì.
Ma adesso non c'è più. Non so dove sia andata. La cerco. Da qualche parte deve essere finita. Forse è diventata una ruga, all'angolo della bocca. O una linea sul collo. Oppure se n'è andata sulla schiena, per quello non la vedo.
Comunque.
Non la trovo.
E allora ogni tanto mi viene un dubbio, non è che quel tizio mi ha detto una sonora cazzata? Una idiozia, una sciocchezza. Non è che la riga era solo una riga e pure carina? Non è che io non avevo un blocco di niente e quello voleva solo definirmi in un modo a caso, perché non capiva una mazza di me?
In effetti la riga è sparita. Punto. E pure il tizio.
In effetti.
Vorrà dire qualcosa.
Sì.
Vuol dire che, se anche c'era una ferita, si è rimarginata. Perché le ferite si rimarginano, quasi sempre.
E se non si rimarginano di certo non hanno bisogno di un tizio qualunque che le faccia sanguinare.
Quindi se lo ritrovo, quel tizio, gli dico di pensare alle righe sue. Che alle mie ci penso io. E ne ho cura.
Che le righe e le ferite vanno curate, non hanno bisogno di uno che ci infili il dito.
Quindi viva le righe, viva le ferite e abbasso i tizi che stanno a guardare la pelle degli altri. Guardino la loro.
#esercizidilibertà