La finestra è un ottimo scudo e un'ottima scusa. Un confine di vetro. Sono protetta.
Protetta dagli altri, dall'altro, dalla vita e dai virus.
Mi ci sono sempre impegnata, a proteggermi.
Senza prescrizioni di chicchessia, ero abituata.
Lo sapevo prima della quarantena, prima dei bar chiusi e poi riaperti, prima dei teatri con i sigilli, delle messe rimandate, prima delle mascherine e delle metropolitane vuote (che no, dai, non prendiamola, la gente fa male, la gente ci fa del male, ci contagia. La gente).
Che brava che sono. Ci ero arrivata prima di tutti. Io.
A star soli si sta bene. Si guarda se stessi nel vetro.
Un bel riflesso con cui intrattenere dialoghi fantastici: che carina che sei, che stanca che sei, che triste, che bionda, che intelligente. Che.
Nei dialoghi tra sé e sé si è meravigliosi.
L'altro è fatica. Difficoltà, odore, peso. Saliva che non voglio, sentimento che non so.
Spazio occupato.
L'altro è l'origine del rischio.
Lo sapevo.
Oggi però, nella finestra, non riesco a vedermi
Non ci sono in quel vetro, è vuoto .
Nessuna me.
Nessuna me a fuggire dal confine. Nessuna me a rimirarsi. Nessuna me che chiede di me.
Nessuna me che ama me.
(Sarà l'angolazione, mi dico, ora mi sposto. Sarò io che sono triste, mi dico).
No.
Niente.
È solo che senza l'altro non ci sono.
Senza l'altro, non sono.
È il caso di chiudere la finestra e aprire la porta, quindi.
Per una volta.
E il virus farà quel che deve.
Ma l'odore dell'altro è buono.
#esercizidilibertà