C'è una questione che non riesco a risolvere.
La questione del tempo che passa (o non passa).
Il tempo reale che conta sempre meno del tempo percepito. Il tempo che ancora non è memoria e rimane bruciante, ben oltre quel presente che ne ha causato la ferita.
Il tempo del ricordo che si ripropone ogni mattina. Il tempo di quel tizio o di quella tizia che non c'è più, ma prima c'era, e ha cambiato le lancette al tuo orologio interiore per sempre. E tu non puoi farci niente.
Il tempo che non inizia. E quindi fatica a finire.
Il tempo che non cambia.
Anche se poi all'improvviso ti ritrovi più grasso o più magro o più triste o più scemo o con più rughe o più libero.
E allora sì, qualcosa in effetti deve essere successo.
Ecco.
Io e questo tempo conduciamo una lotta senza tregua.
Lui mi fa piangere e io gli rendo la vita difficile.
Lui è convinto di avermi e invece io credo che mi debba delle scuse. O, per lo meno, delle attenzioni particolari.
Ma adesso basta. Adesso non ce la faccio più. Mi sono stancata di aspettarlo, comprenderlo, perdonarlo. E gliel'ho detto. Chiaro e tondo. Basta, non ti voglio più.
Lui mi ha riso in faccia.
Ma poi si è messo accanto a me e m'ha baciato gentile.
Forse forse, mi vuole persino bene.
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