Assenza è doppia presenza. Si dice. Io non saprei.
Però ho un problema con le assenze.
Devo essere sicura che tutti siano dove io credo debbano essere. Controllo, con garbo, ma controllo.
Ho adeguatamente educato vicini e affini: vedete di rispondermi. Loro lo sanno, mi perdonano. Io credo di avere una qualche (lieve) patologia ansiosa.
Perché se qualcuno manca all'appello, io lo penso morto. Non semplicemente altrove. Morto.
Qualcuno (molto vicino, molto affezionato, molto paziente) conosce questo vulnus e mi perdona, consola le mie angosce e cerca di placare la mia paura.
Una paura irrazionale e temibile. Paura del lutto senza preavviso. Paura della tragedia statisticamente improbabile.
Ma poi una volta mi hanno detto che quello che temi di più è ciò che desideri di più.
Ergo, se seguo la regola alla lettera, desidero che tutti muoiano.
Interessante.
Sono una potenziale assassina. Voglio tutti morti.
Tutti morti.
Nessuno da controllare, nessuno da chiamare, nessuno da incontrare, nessuno da curare (amare non lo dico, punto)
Una grande liberazione.
Finalmente assolta.
Non fa una grinza.
Però, per favore, rispondetemi al telefono.
La sola vera crudeltà in quest'ora del crepuscolo in cui tutti e due ci troviamo non è che un uomo ferisca l'altro, o lo mutili, o lo torturi, o gli strappi le membra e la testa, o anche lo faccia solo piangere; la crudeltà vera, e terribile, è quella dell'uomo o dell'animale che rende l'uomo o l'animale incompiuto, che l'interrompe come puntini di sospensione in mezzo a una frase, che gli volta le spalle dopo averlo guardato, che riduce l'uomo e l'animale a un errore dello sguardo, un errore del giudizio, un errore, come una lettera appena iniziata e brutalmente stracciata subito dopo aver scritto la data.
B-M Koltès, "Nella solitudine dei campi di cotone"
(grazie a Camilla per questa citazione, non so cosa c'entra, ma c'entra)
altri post