Perché limite deriva da limes. E limes, per i Latini, significava confine. E il confine è una linea di prossimità. Non divide, ma separa, c'è una bella differenza. Due zone (tempi, luoghi, corpi o materie) se ne stanno una accanto all'altra, si sfiorano, ma non si toccano, non possono compenetrarsi.
Il confine è sacro (questo lo dicevano sempre i Latini), è una soglia che si può solo attraversare, ma su cui è impossibile soffermarsi.
La pelle è un confine.
Ma io ho un confine che non è solo la pelle.
Io sono io. Tu sei tu. Facile.
Io mi chiamo Francesca. Tu ti chiami?
Tu sei altro da me. Non necessariamente l'altro da me, ma comunque altro.
E se è vero che è l'altro a definire il nostro limite (con il suo corpo, la sua testa, la sua puzza, la sua voce) vero è, al contempo, che continuamente cerchiamo di spingere un po' più in là la linea di separazione.
Posso andare oltre la pelle, molto oltre la mia pelle
Io posso di più. Io penso di più. Io sono di più.
E allora forse non ho limite.
Posso lavorare mille e mille ore al giorno, posso alzare l'asticella del salto un millimetro alla volta, all'infinito, posso dimenticarmi di mangiare, bere, dormire, parlare. Posso correre più veloce di Bolt. Posso perdonare l'imperdonabile, prendere sempre la decisione giusta, accettare la rabbia, la paura, l'insulto, l'abbandono e la sciatteria. Posso convincerti di tutto. Posso cambiarti, salvarti, trasformarti. Posso riparare quello che è rotto.
Posso. Comunque posso. Vedrai che ce la faccio. Non c'è problema. Vedrai.
Il bello è agire al di là dei propri limiti (non si dice così?), andare oltre, indagare la zona del disequilibrio, non accontentarsi.
Già. Già.
Se non fosse che ad alzare troppo l'asticella potrei farmi male. Se non fosse che a forza di perdonarti smetterò di sopportarti. Se non fosse che sono magra e se non mangio divento ancora più magra.
Se non fosse che fumo troppo, davvero troppo, e a quello sì dovrei dare un limite.
Che poi, a non darlo, maledetto limite, pure la pelle non si vedrà più.
E l'altro da me, ad invadermi, ci metterà una frazione di secondo.
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Il confine è sacro (questo lo dicevano sempre i Latini), è una soglia che si può solo attraversare, ma su cui è impossibile soffermarsi.
La pelle è un confine.
Ma io ho un confine che non è solo la pelle.
Io sono io. Tu sei tu. Facile.
Io mi chiamo Francesca. Tu ti chiami?
Tu sei altro da me. Non necessariamente l'altro da me, ma comunque altro.
E se è vero che è l'altro a definire il nostro limite (con il suo corpo, la sua testa, la sua puzza, la sua voce) vero è, al contempo, che continuamente cerchiamo di spingere un po' più in là la linea di separazione.
Posso andare oltre la pelle, molto oltre la mia pelle
Io posso di più. Io penso di più. Io sono di più.
E allora forse non ho limite.
Posso lavorare mille e mille ore al giorno, posso alzare l'asticella del salto un millimetro alla volta, all'infinito, posso dimenticarmi di mangiare, bere, dormire, parlare. Posso correre più veloce di Bolt. Posso perdonare l'imperdonabile, prendere sempre la decisione giusta, accettare la rabbia, la paura, l'insulto, l'abbandono e la sciatteria. Posso convincerti di tutto. Posso cambiarti, salvarti, trasformarti. Posso riparare quello che è rotto.
Posso. Comunque posso. Vedrai che ce la faccio. Non c'è problema. Vedrai.
Il bello è agire al di là dei propri limiti (non si dice così?), andare oltre, indagare la zona del disequilibrio, non accontentarsi.
Già. Già.
Se non fosse che ad alzare troppo l'asticella potrei farmi male. Se non fosse che a forza di perdonarti smetterò di sopportarti. Se non fosse che sono magra e se non mangio divento ancora più magra.
Se non fosse che fumo troppo, davvero troppo, e a quello sì dovrei dare un limite.
Che poi, a non darlo, maledetto limite, pure la pelle non si vedrà più.
E l'altro da me, ad invadermi, ci metterà una frazione di secondo.
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