Tieniti a retroguardia del tuo affetto
Wiliam Shakespeare
Wiliam Shakespeare
Semplicemente
Bastava che non si mettessero a correre
Semplicemente
Bastava pensarci un attimo Bastava usare la testa e non i piedi
Si dice non usare i piedi usa la testa
Dovevano usare la testa e non i piedi
Ma forse non ci hanno pensato E’ questo il punto
Non ci hanno pensato
E i piedi sono andati da soli
Non se ne sono nemmeno accorti e hanno iniziato a correre
Avrebbero dovuto pensarci
Avrebbero potuto pensarci
Bastava che non si mettessero a correre
Semplicemente
Bastava pensarci un attimo Bastava usare la testa e non i piedi
Si dice non usare i piedi usa la testa
Dovevano usare la testa e non i piedi
Ma forse non ci hanno pensato E’ questo il punto
Non ci hanno pensato
E i piedi sono andati da soli
Non se ne sono nemmeno accorti e hanno iniziato a correre
Avrebbero dovuto pensarci
Avrebbero potuto pensarci
“Non correre” è qualcosa che si dice ai bambini, un ammonimento, un rimprovero.
Se ti metti a correre e non stai attento c’è il rischio di perdere l’equilibrio, c’è il rischio di non vedere se arriva un’auto mentre attraversi la strada, c’è il rischio persino di morire.
E la morte appare per quello che è, stupida e ridicola.
Se ti metti a correre e non stai attento c’è il rischio di perdere l’equilibrio, c’è il rischio di non vedere se arriva un’auto mentre attraversi la strada, c’è il rischio persino di morire.
E la morte appare per quello che è, stupida e ridicola.
Si parla di una piccola storia in cui le cose non sono andate come dovevano andare, fosse anche per un solo dettaglio.
Il 29 maggio 1993 un convoglio di aiuti umanitari diretto alle città di Vitez e Zavidovići - Ex Jugoslavia, Bosnia Erzegovna - viene assalito da una banda militare nei pressi di una strada chiamata Diamond Route, Via dei diamanti.
Tre persone vengono uccise, mentre due riescono a fuggire scappando nei boschi.
Una delle tre vittime era mio zio, ed io avevo meno di dodici anni quando è morto.
La sua morte consiste in frammenti di ricordi. Quello che si sa è solo che non cercò di scappare, i suoi compagni iniziarono a correre e lui rimase fermo, immobile, colpito da tre pallottole a bruciapelo. Lo ritrovarono un paio di giorni dopo, esattamente dove doveva essere, ma senza le scarpe.
La morte, che non ci tiene alle formalità, lo aveva lasciato scalzo. Ridicolo.
Una delle sue sorelle raccontava ai funerali di averlo sognato e in sogno lui diceva: “Bastava che gli altri non si mettessero a correre e sarebbe andato tutto bene.”
Semplicemente non dovevano mettersi a correre.
Ma è poi vero? Era vero?
Vittime della guerra, della vita, o della sfortuna?
Che ne è stato della morte eroica che cantano gli antichi? Che cosa significa dare un senso al lutto? In che modo una morte ci appare più significativa, per non dire giusta o accettabile, di un’altra?
La scrittura prende a pretesto questo fatto di cronaca, o di storia, e da lì si dipana attraverso due monologhi, paralleli. Un uomo e una donna, una coppia, che parlano di un lutto. Di quale morte si sta realmente parlando?
L’andamento drammatico segue le tappe di una indagine, i fatti, gli indizi, le prove, nel tentativo di rendere logico qualcosa che logico non è.
I due protagonisti condividono lo spazio della scena eppure non dialogano. Vivono tempi diversi alla ricerca di “qualcosa” che forse, o forse no, allevierebbe il loro dolore. Indagano risposte che non trovano, significati che non esistono e, come un Amleto qualunque, cercano una verità che spesso è più sciocca della menzogna.
Perché, al di là dei fantasmi cha affollano i nostri sogni e della memoria ingombrante che ci impedisce di respirare, al di là di tutto, quello che rimane è vivere.
Il 29 maggio 1993 un convoglio di aiuti umanitari diretto alle città di Vitez e Zavidovići - Ex Jugoslavia, Bosnia Erzegovna - viene assalito da una banda militare nei pressi di una strada chiamata Diamond Route, Via dei diamanti.
Tre persone vengono uccise, mentre due riescono a fuggire scappando nei boschi.
Una delle tre vittime era mio zio, ed io avevo meno di dodici anni quando è morto.
La sua morte consiste in frammenti di ricordi. Quello che si sa è solo che non cercò di scappare, i suoi compagni iniziarono a correre e lui rimase fermo, immobile, colpito da tre pallottole a bruciapelo. Lo ritrovarono un paio di giorni dopo, esattamente dove doveva essere, ma senza le scarpe.
La morte, che non ci tiene alle formalità, lo aveva lasciato scalzo. Ridicolo.
Una delle sue sorelle raccontava ai funerali di averlo sognato e in sogno lui diceva: “Bastava che gli altri non si mettessero a correre e sarebbe andato tutto bene.”
Semplicemente non dovevano mettersi a correre.
Ma è poi vero? Era vero?
Vittime della guerra, della vita, o della sfortuna?
Che ne è stato della morte eroica che cantano gli antichi? Che cosa significa dare un senso al lutto? In che modo una morte ci appare più significativa, per non dire giusta o accettabile, di un’altra?
La scrittura prende a pretesto questo fatto di cronaca, o di storia, e da lì si dipana attraverso due monologhi, paralleli. Un uomo e una donna, una coppia, che parlano di un lutto. Di quale morte si sta realmente parlando?
L’andamento drammatico segue le tappe di una indagine, i fatti, gli indizi, le prove, nel tentativo di rendere logico qualcosa che logico non è.
I due protagonisti condividono lo spazio della scena eppure non dialogano. Vivono tempi diversi alla ricerca di “qualcosa” che forse, o forse no, allevierebbe il loro dolore. Indagano risposte che non trovano, significati che non esistono e, come un Amleto qualunque, cercano una verità che spesso è più sciocca della menzogna.
Perché, al di là dei fantasmi cha affollano i nostri sogni e della memoria ingombrante che ci impedisce di respirare, al di là di tutto, quello che rimane è vivere.
PRIMA NAZIONALE MILANO – TEATRO i
NON CORRERE AMLETO
di Francesca Garolla
regia Renzo Martinelli
con Elena Ghiaurov e Milutin Dapčevic
produzione Teatro i con il contributo di Regione Lombardia / NEXT
NON CORRERE AMLETO
di Francesca Garolla
regia Renzo Martinelli
con Elena Ghiaurov e Milutin Dapčevic
produzione Teatro i con il contributo di Regione Lombardia / NEXT